Intervista a Luigi Mascilli Migliorini
Intervista di Rita Felerico a Luigi Mascilli Migliorini
-Si è giunti alla VI edizione della summer school. Qual è il risultato più importante raggiunto in questi anni?
Credo siano due. Da un lato la possibilità offerta a giovani studiosi già formati attraverso un percorso post- master, sia della riva sud che della riva nord del Mediterraneo, di frequentare la summer. Dall’altro l’ampliamento,nel corso di questi anni, che la scuola ha dato alle opportunità di incontro/formazione : con il mondo dei giornalisti, del cinema, dell’editoria, del documentario, degli operatori che lavorano sul riutilizzo dei centri urbani, con i direttori dei musei, delle aziende . Realtà diverse. Ma questo ha significato fornire una visione di cultura particolare e una nozione molto vasta di esperienza attraverso l’incontro. Si caratterizza così la scuola. Se posso esprimermi, è un vanto della scuola rispetto ad altre che possiedono un focus molto mirato, teso al raggiungimento di un obiettivo molto specifico e che si rivolgono a giovani già in tema di specializzazione, offrendo una didattica specializzata.
-L’ incontro come vero e proprio strumento conoscitivo…
Incontrare il direttore di un festival, un esperto della storia del Mediterraneo per apprendere. E’ ‘un metodo’ che permette ai saperi di ognuno di rideterminarsi dall’altra parte delle sponde usando modelli ed esempi di scambio. Di questo sono particolarmente fiero. In ogni campo ormai si auspica che lo scambio fra le due sponde avvenga; nella summer esiste e si determina all’interno di una condizione particolarissima : ci troviamo in un’ isola, larga circa 1Km e lunga circa 4Km e la scuola non ha come contesto solo le aule e i momenti didattici più evidenti. Esiste un piccolo mondo fuori delle aule nel quale si vive insieme 24ore su 24. Allora l’incontro, il rapporto che si crea fra i giovani delle due sponde è determinante, soprattutto per quei giovani che ,non dimentichiamolo ,provengono da società con difficoltà eclatanti. Accedere per loro a questa possibilità ha una valenza formativa molto alta. L’incontro non è allora solo di natura professionale, inserito all’interno del contesto formativo. Vi è un contesto più forte, quello territoriale, è come un mega campus, è questo format che ha riscontrato il risultato positivo.
– Quale?
Tutti – e lo affermo su dati di un repertorio di circa 100 -120 giovani in questi anni presenti a Procida – sono rimasti fortemente legati alla struttura della scuola, ma soprattutto hanno sviluppato rapporti diretti, personali e tutti riconoscono in questo la particolarità dell’esperienza procidana : il fatto che si crei un dialogo non solo ‘nell’astrattezza della lezione in aula’, ma nel vivo della conoscenza lungo l’arco di una settimana, 24 ore su 24. Il secondo risultato è una migliore messa a fuoco di quelle che possono essere oggi le opportunità – non dico nemmeno di lavoro perché la parola oggi è molto impegnativa – ma di azione, di attività per i giovani già formati in questo spazio mediterraneo. Il titolo generale della scuola infatti – che può assumere colorature diverse come avvenuto in questi anni- è l’impresa culturale, cioè come trasformare la propria formazione, la propria cultura e naturalmente il grande bagaglio della cultura mediterranea in occasioni di proposta – non diciamo di lavoro, non voglio essere ambizioso – per misurarsi con le opportunità di inserimento nel mondo del lavoro.
-L’intento di coniugare l’economia con la cultura e quindi considerare la cultura risorsa economica. Qual ‘è la figura professionale che secondo lei in questi anni si e delineata e che può avere più chance?
La ringrazio per la domanda perché è vero, nel corso delle varie edizioni via via abbiamo cominciato a capire quale potesse essere l’approdo, non l’unico ma quello forse più interessante. Se lo dovessi definire in una rapida battuta,direi l’operatore ma addirittura il protagonista, pubblico prevalentemente ma non necessariamente, dell’intervento culturale sul territorio. Ci siamo resi conto che il brand così detto mediterraneo ed anche la possibilità di cui lei diceva di passare dalla cultura all’economia, significa soprattutto prendere in considerazione dei territori e offrire ad essi delle funzioni e delle attrazioni culturali. Che poi dietro trascinino potenzialità turistiche è altro fattore. Per fare questo si ha bisogno di una figura professionale che operi nella pienezza della dimensione territoriale, cioè conosca e comprenda quali possano essere le specificità, dai beni architettonici alle tradizioni antropologiche, dalle fonti termali se presenti ai musei, quali sono in definitiva le ricchezze del territorio e come crearci sopra una politica di attrazione culturale. Questa figura manca assolutamente.
-Non viene cioè delineata o riconosciuta in nessun luogo?
Ricordo l’intervista a Domenico de Masi nel momento in cui stava per lasciare la Fondazione del Ravello Festival. Affermava che noi non abbiamo in questo momento manager culturali, professionisti che sanno organizzare non solo il festival di teatro o gli eventi spettacolari. La figura a cui ci si riferisce è quella che prende un luogo e lo trasforma da aria periferica – e come dire ignorata anche a se stessa – in un luogo dove è interessante andare in occasione non solo di una singola manifestazione ma per tanti altri motivi. Il territorio deve “funzionare” non solo in una singola occasione, deve funzionare tutto il contesto generale e il tipo di intervento deve essere rivolto sulle strutture urbane come sul tipo di comunicazione. Sono molti mestieri insieme che si riassumono in questa figura di manager culturale,tanto pubblica quanto privata a seconda delle circostanze e dei contesti.
-Può spiegare meglio il binomio pubblico/privato?
È evidente che il luogo pubblico non è ‘piccolo’; ricordo con particolare interesse una serie di incontri nelle edizioni passate basate sull’apporto di persone che in area euromediterranea hanno avuto esperienza e responsabilità di management pubblico/ culturale. Non è stato difficile verificare quanto detto da de Masi, quanto il loro modello di comportamento sia ancora del tutto sconosciuto e non praticato ovunque e quindi si evidenzia la necessità che la scuola insista su questo. Pubblico/ privato non ha importanza, è solo una differenza di committenza.
-Certo. In sistemi diversi, nei due tipi di società che caratterizzano le due sponde,una in crescente democrazia l’altra quasi alla sua fine, inserire queste figure è importante. Un po’ di numeri. In questi 6 anni è cresciuto il numero dei borsisti? Si è avuto un momento critico e perché ? e infine come la scuola viene finanziata?
Per quanto riguarda l’andamento, i livelli sono sempre stati abbastanza costanti; normalmente riceviamo tramite bando una media di domande da 50 a 70, che giungono in una misura sufficientemente equivalente fra giovani italiani, non solo dell’area napoletana, e i giovani che giungono dai Paesi della sponda sud del Mediterraneo o da Paesi dell’Europa centrale. E nella stessa misura selezioniamo intorno ai 25 partecipanti 10 /12 italiani, 10/12 stranieri , sulla base dei curricula, con una grande libertà per quello che riguarda la formazione, in ragione di ciò che ci siamo detti finora. Sono giovani provenienti da varie aree di studio , psicologica, artistica,letteraria, archeologica, giuridica. Teniamo soprattutto conto del loro desiderio di trasformare i saperi in fatti operativi. Dalla parte del mondo docenti abbiamo avuto andamenti più altanelanti, ma questo dipende dalla formula che abbiamo scelto, di una scuola più simile all’idea di un grande forum d’ incontro che ad un’ esperienza didattica tradizionale.
-Chi sono i docenti?
Piuttosto che scegliere docenti con un lungo corso, abbiamo voluto creare una porta aperta, per cui le docenze, le presenze di figure di formatori oscillano ogni anno intorno a 20/25,provenienti dal mondo del Mediterraneo che raccontano la loro esperienza o in forma di lezione o di seminario o di tavola rotonda. Anche qui le formule didattiche sono estese e via via risperimentate. E tutto ciò accade con docenti che sono anche amici, li chiamo i pilastri della scuola. Si deve sapere che tutto questo si fa sul volontariato generosissimo di ricercatori e docenti delle Università, di amici del mondo della cultura, della filosofia, come Maria Donzelli,tutte intelligenze di prima qualità. Verso aprile/ maggio vengono inseriti nella fornace dell’organizzazione e ne riemergono nella prima settimana di ottobre; è un lavoro organizzativo minuto, preciso.
-Un risultato anche in questo campo prezioso
Abbiamo creato una comunità di giovani ricercatori e dottorandi e una comunità di docenti : è questo il dato preziosissimo. Quando invitiamo i docenti a venire da Tunisi o da Parigi sappiamo che per loro è un viaggio abbastanza anche emozionante : treno o aereo, traghetto, motorino dell’isola…non abbiamo mai dato contributi ai nostri docenti, italiani o stranieri, solo offerto l’ospitalità. Aderiscono con generosità al progetto e sono pronti a ritornare,per il piacere di ripetere l’esperienza, partono con il desiderio di tornare. Come si regge l’organizzazione? come si è retta in questi anni la rete? grazie al sostegno dell’Ente capofila l’Osservatorio euromediterraneo del mar Nero, un’associazione e anche un centro di studio e ricerca nato da una convenzione stipulata fra la nostra Università l’Orientale, il Comune di Napoli e la Fondazione Idis – Città della Scienza. Alle risorse ogni anno contribuisce il Comune e l’Orientale mettendo a disposizione un luogo di straordinaria bellezza – il Conservatorio delle Orfane di terra murata a Procida- e le strutture di supporto amministrativo, per coprire i problemi logistici. Procediamo un po’ a vista, come è per tutti, con il sostegno di un fondo europeo specifico per queste tematiche. Quest’anno abbiamo anche il sostegno di Stoà, l’ente di formazione, due borse di studio messe a disposizione da UniCredit e come sempre il Centro di Studi del Mediterraneo di cui è presidente Maria Donzelli, preziosissima amica, e l’Associazione Peripli,anche questa una sua creatura. Stiamo allargando il campo delle attenzioni e lo faremo di più nei prossimi anni , ma essere arrivati alla VI edizione per una realtà come Napoli è come se si fosse raggiunto il traguardo della sessantesima edizione.
-Riunire realtà che si muovono sulle stesse tematiche e interessi potrebbe essere conveniente da un punto di vista economico?
Una chiusa su questo punto è necessaria. Forse l’elemento di paradossale fragilità di questo momento diviene il campo nel quale intervenire più proficuamente per l’avvenire. E’ un migliore raccordo con il mondo dell’imprenditoria locale,il naturale destinatario anche se il campo di applicazione è più vasto. Tuttavia devo dire che quei pochi tentativi fatti hanno determinato qualche interesse e qualche presenza qualificata,però dichiaro che sicuramente ci si deve e ci si può aspettare di più come riscontro. Penso alla Camera di Commercio per esempio, a quei soggetti che più volte hanno dichiarato il bisogno di sollecitare e creare un migliore rapporto con l’imprenditoria – vedi Confindustria, l’Unione Industriali – ma poi..dico:vediamoci imprenditori campani, napoletani,meridionali, incontriamoci, non è un progetto costosissimo e si contribuirebbe a far lievitare quell’interesse su cui ha puntato sensibilmente in quest’ ultimo periodo proprio Stoà : la scoperta delle intelligenze, lo sviluppo interiore all’interno delle professioni.
-I suoi progetti per il futuro
Questa edizione è dedicata all’incontro fra l’Europa e il Mediterraneo sul terreno del lavoro, dell’emigrazione, del sociale, delle possibilità di inserimento, delle opportunità nell’ambito di quello che si chiama terzo settore. Grande opportunità che noi sperimentiamo con alcune novità innovative rispetto al passato. Mi augurerei che quell’accudimento che noi facciamo da edizione a edizione e che fa si che in qualche modo la summer non sia solo un evento, venga rafforzato dal collegamento,dal rapporto utile con le realtà imprenditoriali. Possediamo a tutt’oggi una minima ma molto qualificata banca dati di esperienze, di ragazzi che sono già in rete e di altri che l’hanno attraversata per altri motivi. Mi sembra che l’obiettivo da porsi sia incrementare questo aspetto, non solo l’accudimento nella preparazione dell’evento ma nel mantenimento dei frutti di questo evento.Abbiamo avviato anche dei piccoli quaderni in rete e altre iniziative simili. Questo potrebbe diventare l’obiettivo comune che interessi non solo me, i miei collaboratori, i miei amici come organizzatori, ma tutti; la summer non è un evento che accade una sola volta all’anno durante la settimana di settembre, ma si estende lungo tutto l’anno attraverso un continuo impegno. Questi incontri sollecitando il dialogo con e fra ragazzi e stimolando la comunicazione portano ad una completa circolazione di informazioni che abbraccia realtà distanti fra loro, da Rabat a Milano. Come si potrebbe intervenire anche da lontano in quelle realtà che comunicano fra loro? Cosa fare? Rispondere in maniera più adeguata a tutto questo significherebbe avere le spalle più attrezzate, essere più accuditi, possedere una struttura più efficiente e per questo il mondo dell’economia e dell’impresa è necessario.
-Come professore, come uomo di cultura qual è il suo sogno nel cassetto rispetto a questa esperienza?
Il mio sogno nel cassetto.. è che questa esperienza di Procida a me molto cara – lo ripeto, non solo e non tanto per i risultati conoscitivi e formativi che si raggiungono e che ci sono, ma per il clima d’incontro che si crea – possa continuare. Mi è molto cara perché ogni volta verifico quanto sia produttiva la costruzione di ambienti di relazione autentica, dentro i quali il tasso anche della casualità gioca il suo ruolo, una casualità che possiede intorno quel giusto grado di regia soft -perché è così che accade- della mescolanza di esperienze, diverse da tutti i punti di vista, culturali, formativi, di generazione, di saperi, di età, mondi di provenienza . Se invece immaginiamo esattamente il contrario, di sostituire la fisicità con la virtualità, mi rendo conto che gli incontri / conversazioni della summer accadono guardandoci veramente negli occhi e abbiamo anche tutto il tempo per poterle ripetere, in condizioni date e semmai di riprodurle altrove. Tutto questo si svolge in un mondo che immagina che presentarsi con un bagaglio di competenze molto determinate sia il requisito più valido per un accesso al mondo del lavoro. A conti fatti, questo punto rivela il grado stressatissimio a cui è giunto il mercato,che produce continuamente se stesso in queste dimensioni iperprofessionalizzate! Credo che il mio sogno nel cassetto sia che si possa comprendere quanto la comunità -quando si costruisce e determina in uno spazio dato, in un tempo dato,con deliberata casualità- è occasione preziosa. Allora reitare, ripetere queste occasioni, diversificarle ma rendere evidente che c’è il luogo dell’incontro, questo è il mio sogno nel cassetto. Fermo restando che potrei immaginare di reiterare la formula summer in tante altre forme, generando altri momenti : un incontro fra dottorandi del Mediterraneo che si stanno occupando dello spazio Mediterraneo, un incontro con le imprese… e poi esistono altri piccoli gioielli da coinvolgere. Vengo da Ventotene, altra realtà deliziosa , penso ai miei amici a Salina che organizzano un festival sul documentario mediterraneo. Ma tutto questo temo che non si realizzi, perché richiede il piacere dell’avv entura non la certezza della cosa determinata. Ma questo mi interessa fare e questo farò.
-Si accomunano diversi sogni
Questa summer la potrei in qualsiasi momento trasformare in un master che costa 5mila euro e invitare con grande scalpore gli economisti, gli scrittori… mi annoierei il giorno dopo .. lo storico è un mestiere molto più soft. Si devono fare anche queste cose… ma i risultati della summer mi inducono a pensare e a rafforzarmi nel convincimento che se non ho del tutto ragione non ho neppure del tutto torto.
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