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Dignità nella transizione mediterranea

    Editoriale | febbraio 2013 | Dignità nella transizione mediterranea

    Nel 2011 migliaia di giovani tunisini ed egiziani manifestano il proprio dissenso nelle piazze dei loro paesi al grido di “Pane e dignità”, scandito con tenacia e determinazione. Chi sono questi giovani? Sono persone con un tasso di istruzione medio alta, in grado di utilizzare i social network per reclamare i propri diritti e di scrivere in varie lingue. Colpiti da una disoccupazione crescente, malgrado il loro livello di istruzione, non tollerano più i sistemi politici corrotti dei loro paesi e decidono di “indignarsi”, togliendo il bavaglio loro imposto dai regimi totalitari, completamente sconnessi e lontani dalle loro aspirazioni di giustizia e libertà. Queste rivolte “sorprendono” l’occidente, l’Europa in particolare, che ha improntato buona parte della sua politica mediterranea alla “sicurezza”, cioè al contenimento dei flussi migratori provenienti dalla sponda sud del Mediterraneo, complicando al tempo stesso la libera circolazione degli scambi culturali e interculturali dei giovani provenienti da quei paesi. Tuttavia, i sentimenti e i valori espressi dai giovani in rivolta nei paesi della sponda sud del nostro mare non sono diversi da quelli presenti nelle radici culturali dell’Europa democratica, che a sua volta e in contemporanea, esprime l’ “indignazione” dei suoi giovani altrettanto delusi da una democrazia sempre più in declino, piegata al mercato finanziario mondiale, e da una classe politica sempre più autoreferenziale, che risulta anch’essa sconnessa e lontana dalle loro legittime aspirazioni di giustizia, libertà e lavoro. Anch’essi, indignandosi, rivendicano la loro dignità.
    Aldilà dunque delle differenze culturali e religiose, il grido di “Pane e dignità” sembra accomunare le giovani generazioni di tutta l’area mediterranea e questo comune sentire sembra aprire alla speranza di un futuro di rapporti pacifici e fecondi tra le due sponde del Mediterraneo, che si realizza per un brevissimo periodo attraverso lo scambio via internet dei video, degli slogan e delle aspirazioni dei giovani “mediterranei”, nel corso della primavera del 2011.
    Il percorso tuttavia non si rivela semplice ed avvia una fase cosiddetta di “transizione”, che è da un lato il risultato della crisi economica e finanziaria mondiale, dall’altro il risultato di lotte per i diritti civili, dei lavoratori, delle minoranze, delle alterità, ecc., dall’altro la volontà di gruppi più o meno organizzati di occupare spazi di potere culturale e politico, dall’altro ancora l’esigenza di affermare i diritti civili in vari contesti secondo nuove prospettive, coniugate con le specificità culturali di ogni luogo e paese al fine di costruire società più giuste, ecc. Difficile risulta coglier la complessità di questa transizione. Poiché però l’esperienza della storia recente, oltre che di quella passata, ci insegna che gli esseri umani possono venirsi a trovare in condizioni estreme, che ne disconoscono la dignità, non è inutile forse ritornare a riflettere, proprio in questa fase di transizione, sull’idea stessa di dignità. Oltre ad essere un concetto filosofico e giuridico, la dignità è la condizione originaria di ogni essere umano, aldilà delle connotazioni religiose, sociali, etniche, ecc., rileva della “sacralità” dell’essere umano in quanto tale e prescinde, perciò stesso, dalle diverse forme di religione e di potere, connotandosi, al tempo stesso, come fondamento del diritto, della libertà e della responsabilità di ogni persona e di ogni comunità giuridica e sociale. Si tratta di un valore fuori mercato e non negoziabile che, soprattutto nelle fasi di crisi e di transizione, quando i vecchi punti di riferimento si disgregano e i nuovi fanno fatica ad instaurarsi, acquista una sua centralità sia per le persone, sia per le collettività, sia per le legislazioni e le costituzioni che regolano quelle collettività. Non è forse un caso che nel 1948, alla fine della seconda guerra mondiale, durante la quale molti regimi avevano calpestato proprio la dignità dell’uomo in quanto tale, l’Assemblea generale della Nazioni Unite approva l’art. 1 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo che recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”, una dichiarazione che sembra tra l’altro suggerire la priorità della dignità rispetto ai diritti stessi.
    Se il principio della dignità vale per tutti, a maggior ragione esso va tenuto presente nel riconoscimento dei diritti delle donne, un riconoscimento che fatica più degli altri proprio nelle fasi di passaggio. Oggi in Egitto, Tunisia, ma anche in Siria, Bahrein, Algeria, Yemen, Marocco, e non solo: le donne continuano a lottare per conquistare la loro “primavera” e farla coincidere con la rinascita di tutti. D’altronde, come si può pensare che il processo di crescita di ogni società escluda o mortifichi la dignità delle donne, senza pregiudicarne l’esito complessivo? La giornalista egiziana Gameela Ismail così commenta: “Stiamo combattendo in queste sabbie mobili post-rivoluzionarie, ma sono sicura che a lungo andare troveremo delle donne abbastanza forti da prendere il timone di questo processo verso la libertà e l’emancipazione”. E’ quello che ci auguriamo anche noi, nella coscienza della dignità di ogni donna e di ogni essere umano.

    Maria Donzelli | Presidente di Peripli

    febbraio 2013

    Tag:editoriale, Mediterraneo, saggi

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