Riflessioni nel tempo del coronavirus di Maria Donzelli
La situazione mondiale determinata dalla diffusione del coronavirus ha posto tutti i popoli, tutti i governi, tutti i cittadini, giovani e meno giovani, su un unico asse di partenza: l’uguaglianza della condizione umana, con le sue fragililtà e potenzialità. Avremmo voluto conquistare l’uguaglianza in ben altro modo. Ma tant’è, abbiamo improvvisamente dovuto constatare che siamo tutti, senza eccezioni, vulnerabili. E’ stato uno schok, soprattutto per chi si riteneva invincibile sulla natura e sugli uomini.
Inoltre la situazione che stiamo vivendo ha dato scacco alle pretese totalizzanti del mercato, teorizzate dal neoliberalismo, e in generale alla mondializzazione cosi’ intesa. Il mercato ha dovuto fare un passo indietro e gli Stati, non più adusi a svolgere il loro compito, si sono ritrovati improvvisamente a dover fare “politica”. I loro governi hanno dovuto mettere al primo posto la sopravvivenza dei cittadini di fronte a un virus subdolo, al momento non conosciuto e dunque inattaccabile. Gli Stati inoltre hanno dovuto prendere in considerazione la Scienza e confrontarsi con essa, in una sperimentazione di conoscenze, dispositivi sanitari, ricerca ecc., che al momento non dà ancora certezze, ma sperimenta, promuove ipotesi, osserva e ha bisogno di fatti, per farlo.
Mi chiedo se questo inevitabile confronto con la Scienza possa in qualche modo rimettere in piedi anche la Politica… Ma questa è un altra storia. Cio’ che è certo è che stiamo vivendo un rivolgimento del sistema economico e politico come forse non si è mai verificato prima, dalla nascita del capitalismo in poi, neppure con le guerre mondiali che hanno attraversato la prima metà del ‘900 e neppure con le varie crisi economiche, terrorismi, nuovi imperialismi, rivolgimenti naturali ecc., che caratterizzano i nostri tempi più recenti.
Questa profonda destabilizzazione del sistema già esistente crea un’enorme incertezza sul futuro di tutti, ma soprattutto sul futuro dei giovani. Ognuno di loro, confinati nelle proprie case, vede crollare le proprie abitudini di vita, l’idea di avere almeno conquistato la possibilità di muoversi nel mondo, pur nella drammaticità di certi spostamenti – penso ovviamente alle migrazioni di coloro che vengono in occidente da paesi lontani nella speranza di sopravvivere e/o realizzare i loro sogni, ma anche ai nostri figli e nipoti costretti a cercare lavoro fuori dai loro territori. Ognuno si interroga probabilmente sul suo destino, sulle decisioni da prendere, sul senso stesso della propria vita, mette in discussione le scelte passate e sperimenta la solitudine di un tempo nel quale si sente ancora più emarginato di prima. Quel che è peggio è che prende coscienza anche della profonda cesura creatasi tra le generazioni, sperimentando una solitudine ancora più profonda.Tale incertezza inquieta tutti e sembra rendere inutili progetti, programmi, prospettive di vita, ecc. I giovani si sentono derubati del loro futuro e, paradossalmente, proprio oggi hanno forse bisogno di confrontarsi con coloro che questo futuro lo hanno di fatto negato: le generazioni dei loro padri, nonni, zii, insegnanti, ecc. Costoro sono messi di fronte alle loro responsabilità, perché questi giovani non sono entità virtuali o astratte, ma sono i loro figli, nipoti, studenti ecc. Penso che questo confronto tra generazioni sia in questo momento molto importante. Anche in questo caso, siamo tutti disarmati, dobbiamo cercare soluzioni e dobbiamo farlo insieme, giovani e meno giovani, perché il futuro non puo’ costruirsi contro una parte generazionale o contro una parte del mondo. Per fare questo pero’ dobbiamo attrezzarci e fare tutti un atto di generosità, tenendo presente che “nessunosisalvadasolo”. Vanno dunque individuate le possibilità – al momento anch’esse incerte – di nuove occasioni per cambiamenti favorevoli. Ogni crisi profonda porta con sé distruzioni e rinnovamenti. Dovremo imparare ad essere lucidi e vigili per cogliere le opportunità di nuovi scenari possibili.
I giovani, con la loro esperienza nell’uso delle tecnologie informatiche, con il loro entusiasmo e la loro vitalità, potranno essere protagonisti di spinte propulsive per la ripartenza di un’economia trasformata in economia reale e per una maggiore diffusione della solidarietà umana. Potrebbero aprirsi anche nuove opportunità di lavoro, mettendo in funzione fantasia, immaginazione e creatività, doti che finora sono state emarginate o utilizzate in funzione esclusiva dei profitti del capitale finanziario, degli interessi individuali, in economia e politica, o peggio ancora della criminalità organizzata per un suo più ampio e capillare inserimento nel sistema economico mondiale…Un pericolo questo concreto e, ahimé, privo di incertezze: si tratterà di capire come e in qual misura cio’ sta avvenendo e avverrà e si tratterà di capire come si potrà tentare di contenere questa deriva. I seniores dovranno fare uno sforzo per capire i cambiamenti dei tempi, mettere a disposizione la loro esperienza e conoscenza e, soprattutto, dovranno rinunciare agli obiettivi del passato, promuovendo e aiutando i giovani ad esprimere le loro potenzialità. I seniores dovrebbero fare un passo indietro nei loro interessi e un passo in avanti nella costruzione di un futuro più giusto e armonico.
L’Unione Europea avrebbe ora l’occasione non solo di promuovere i suoi valori originari di giustizia libertà solidarietà, ma di darsi l’esistenza come istituzione politica. L’esigenza di un sistema sanitario coordinato tra i diversi stati – con conseguente comunione di farmaci, ricerca, strumenti sanitari, strumenti scientifici, ecc. -, di un sistema fiscale coordinato, dell’unificazione delle problematiche relative ai rapporti tra imprese e lavoratori sul piano degli ammortizzatori sociali e degli incentivi alle imprese, di una politica estera comune, di un maggiore coordinamento tra gli stati nei campi dell’istruzione, della formazione e della ricerca, ecc., questa esigenza sembra ormai ineludibile. La cittadinanza europea potrebbe diventare realtà. Eppure il pericolo reale di un ripiegamento sui vari ed inquietanti nazionalismi è sotto i nostri occhi e mette ancora in evidenza la contraddizione tra mercati e stati, economia/e e politica/che, economia e società.
La consapevolezza della necessità di condividere, piuttosto che di dividere, scaturita dalla constatazione che “nessuno si salva da solo”, dovrebbe scongiurare questo rischio, a patto pero’ di educare i popoli alla coscienza di una cittadinanza attiva, e di coinvolgere i cittadini, che dovrebbero figurare protagonisti di un nuovo percorso democratico, capace di cambiare anche le prospettive economiche neoliberalistiche estreme dell’Unione. E’ forse un’utopia, ma questo mondo ha bisogno anche di utopie per poter andare avanti e dobbiamo avere il coraggio di pensare anche in modo utopico.
Sembra evidente la necessità di ridefinire i rapporti con i paesi terzi, specie con quelli dell’area mediterranea, in considerazione delle problematiche culturali, economiche, politiche e di quelle scaturite dalle migrazioni. Non va dimenticato che il Mediterraneo è e rimane un fronte di varie guerre, mentre il virus fa le sue vittime aldilà delle frontiere e attacca su tutti i fronti. Fermare le guerre nel Mediterraneo e altrove, fermare la produzione delle armi, che è rimasta una delle poche attività produttive in piena funzione nei tempi del coronavirus, sarebbe un segnale importante di inversione di tendenza, come del resto richiesto dall’appello del presidente delle Nazioni Unite nel marzo 2020 e dal Papa in occasione della Pasqua.
Tuttavia appare inquietante la reazione di un vasto numero di cittadini americani che, alla riluttante constatazione del loro presidente dell’espadersi della pandemia anche negli Stati Uniti, ha reagito recandosi immediatamente ad acquistare armi, quasi che tale gesto potesse mettere tutti al riparo dal virus e dalle conseguenze della sua diffusione.
Serve un rapido e immediato cambiamento di mentalità. Dovremo accettare la confusione di questo momento per reperire nuovi strumenti di indagine, nuove prospettive, nuovi rapporti relazionali. Il virus ci sta sfidando, dobbiamo accogliere questa sfida e vincere, non solo sul virus, ma anche su noi stessi.